Colore wayfinding

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Milano
Team di ricerca
Cristina Boeri, Marilisa Pastore, Salvatore Zingale,
Dip. Indaco, Politecnico di Milano
E-MAIL:marilisa.pastore@libero.it

Descrizione

La segnicità del colore e la sua applicazione al wayfinding sono state l’ambito di studio di una tesi di laurea che ha indagato, in particolare, le possibilità di un orientamento cognitivo negli spazi interni attraverso il progetto del colore.
Il termine wayfinding, come è noto, è stato utilizzato per la prima volta nel 1960 dall’architetto urbanista Kevin Linch che, nel libro The Image of City, ne dà la seguente definizione: “un uso coerente e una precisa organizzazione di segnali sensoriali provenienti dall’ambiente esterno”.
A partire dalle considerazioni e dal lavoro di Lynch sulla città sono state condotte diverse osservazioni su alcuni luoghi pubblici all’interno dei quali l’orientamento è fondamentale per poter vivere lo spazio stesso.
Stazioni, aeroporti, centri commerciali, ospedali, possono essere vissuti come luoghi ostili, laddove l’utente, non riuscendo ad avere una percezione dell’ambiente chiara e immediata, è pervaso da un senso di angoscia e smarrimento che lo immobilizza o lo costringe a compiere lo stesso percorso più volte, alla ricerca della sua destinazione.
Per comprendere la percezione dello spazio che ha l’utente quando si muove al suo interno sono stati osservati i suoi comportamenti, mappati i movimenti e i percorsi, nel tentativo di delineare un metodo di analisi e restituzione delle criticità riscontrate.
Tra i diversi spazi osservati, è stato quindi identificato quale caso studio esemplificativo il blocco dei poliambulatori dell’Azienda Ospedaliera S. Paolo di Milano.
Dopo aver definito l’area, le osservazioni sugli utenti e sulle mappature dei loro percorsi sono diventate sempre più specifiche. Sono state elaborate delle mappe di place legibility che studiano gli elementi di ogni singolo percorso, a seconda che l’utente dall’ingresso principale debba raggiungere il poliambulatorio di pneumologia, piuttosto che la neurologia o il reparto di radiologia.
Nelle mappe è indicato ogni singolo nodo, riferimento o margine che troveremmo percorrendo questi spazi. La simbologia grafica è stata studiata per rendere visivamente immediata la leggibilità dell’analisi condotta.
Dall’analisi è emerso, tra l’altro, come molti utenti in presenza di lunghi corridoi, incerti sulla giusta via da prendere, preferiscono accertarsi che tutte le altre destinazioni siano sbagliate prima di percorrerli.

Una volta conclusa l’analisi cognitiva dei percorsi sull’area di studio che ha permesso di evidenziarne le diverse criticità, sono state elaborate alcune proposte progettuali di impiego del colore finalizzate a migliorare, correggere, esplicitare l’orientamento spaziale.
In accordo con il piano colore attualmente in uso all’interno dell’ospedale, le proposte cromatiche elaborate sono caratterizzate dall’uso di un colore identificativo dell’intera area poliambulatoriale a cui viene accostato un secondo colore diversificato in funzione delle diverse destinazioni.
Infine è stato impiegato un colore di richiamo dell’attenzione ogni qual volta necessario, ad esempio per segnalare una svolta o la presenza della segnaletica grafica.
Alcune zone, che in fase di analisi sono state individuate come critiche, perché aree nodali prive di riferimenti, sono state dotate di landmark. Queste immagini costituite unicamente dal colore, direzionano il percorso e potrebbero essere facilmente ricordate dall’utente al momento di uscire, come dei veri e propri riferimenti. Così se il percorso principale impone di girare a destra, attraverso il colore viene assecondato in modo naturale tale orientamento, mentre la lettura segnaletica potrà risultare secondaria.
In un momento successivo, le ipotesi progettuali di questa ricerca sono state alla base di un intervento cromatico di ritinteggiatura del piano dei poliambulatori, realizzato dalll’ufficio tecnico e umanizzazione dell’Azienda Ospedaliera San Paolo. Per quanto tale intervento riprenda solo in parte le ipotesi della ricerca, è stata colta l’occasione per condurre una verifica in situ di alcuni suoi presupposti. Le operazioni di verifica sono state concepite come osservazioni di tipo etnografico dei comportamenti degli utenti del poliambulatorio. Queste osservazioni sono state condotte con la stessa modalità adottata per le analisi che hanno permesso di elaborare le mappe di “place legibility”.

Il rilevamento dei comportamenti ha dovuto tener conto di tre condizioni che costituiscono i limiti per un’osservazione esauriente:

  1. l’intervento cromatico è limitato agli spazi del poliambulatorio e non all’intero edificio dell’ospedale né a una sua parte significativa;
  2. l’intervento di fatto non “disegna” un percorso di navigazione completo e articolato;
  3. l’intervento non risulta coordinato con il sistema di segnaletica preesistente.

Nel primo caso è stato osservato come le due porte dai colori marcati attraggano fortemente l’attenzione, perché costituiscono un punto di discontinuità e, di conseguenza, di attrattività: molti visitatori in cerca della loro meta vi si dirigevano in modo spontaneo, seppure quella non fosse affatto la meta cercata.Nel secondo caso è stato osservato come l’angolo semicircolare della parete, ritinteggiato con larghe bande verticali, produca forse gli effetti di maggiore interesse. Prima della nuova colorazione, infatti, quel nodo era fonte di comportamenti errati e ambigui, nonché di indecisione: il corridoio a destra, buio e cromaticamente anonimo, non invitava all’esplorazione; al contrario, la grande porta a vetri di fronte, per quanto conducesse all’esterno dell’edificio, costituiva il punto di maggiore attrazione (come una affordance negativa); un ingresso sulla sinistra che porta verso un altro corridoio veniva infine del tutto ignorato. Ora invece il nodo è effettivamente tale: le grandi bande verticali agiscono come affordance positiva e non possono non essere notate e invitano i visitatori all’indugio e quindi a valutare con più attenzione la scelta fra le possibili direzioni.

 

Le osservazioni etnografiche e di verifica sperimentale dell’ipotesi progettuale di partenza portano così ad alcune conclusioni aperte e temi di ulteriore ricerca:

  1. nel progetto del wayfinding il colore – e in genere tutti i trattamenti che stimolano la dimensione percettiva prima ancora di quella cognitiva – svolge un ruolo dal valore fortemente segnico, soprattutto nelle fasi dell’esplorazione e della memorizzazione;
  2. tale valore lo si ottiene solo se le connotazioni cromatiche degli elementi architettonici sono oggetto di un progetto esplicitamente mirato all’orientamento;
  3. infatti, seppure produca effetti orientanti, per ottenere risultati ottimali la colorazione delle pareti a scopo di wayfinding va progettata in quanto componente di un sistema di segnaletica più ampio e articolato;
  4. qualsiasi sistema segnaletico deve a sua volta assumere i caratteri di un “environmental graphic design”, vale a dire una grafica che considera gli ambienti come supporti e veicoli di comunicazione.